A mio Padre, nel momento della sua morte
Ti porterò nel mio cuore
Come le colonne d’Ercole
Nel cuore di Ulisse.
Come l’ inaffrontato confine
Del mio esistenzialismo avido.
Come il limite antico
Della mia coscienza nuova.
E con te nel mio cuore
Attraverserò sicuro
L’orlo del mondo.
In quel futuro già vissuto mille volte
Ti porterò con la mia nave,
Al di là dei miei sensi di colpa
E delle tempeste della mente.
Ma tu, adesso,
Poggia il tuo tempo nelle mie mani
E veglia ancora su di me.
Le Colonne d'Ercole, nella letteratura greca classica, stavano ad indicare il limite estremo del mondo conosciuto. Un limite che la mitologia ha spesso modificato come collocazione, proprio sulla base delle conoscenze geografiche del momento che spostavano, ovviamente, sempre più in là, il limite del mondo noto.
Nella concezione più comune esse venivano collocate nello stretto di Gibilterra. Erano la porta che separava il conosciuto Mar Mediterraneo dallo sconosciuto Oceano. Il limite del mondo posto tra i monti Abila in Africa e Calpe in Spagna. Sembra, sempre secondo il mito, che i monti fossero dapprima uniti e successivamente separati da Ercole e che recassero l’iscrizione “non plus ultra”. Al di là di essi era l’ignoto, il nulla.
Da sempre tuttavia le Colonne d’Ercole rappresentano, oltre che un concetto geografico, anche un concetto filosofico e psicologico. Il simbolo del limite della conoscenza, il confine da superare sia per il sapere umano, in continua evoluzione che per la crescita culturale e psicologica del singolo, anch’essa in continua evoluzione.
Nella interpretazione Dantesca esse vengono descritte in tal modo. Il limite da valicare per arrivare alla scoperta di nuovi mondi e di nuove conoscenze per quella crescita culturale e umana cui l’uomo è destinato. La frase “fatti non foste per vivere come bruti ma per seguir virtute e canoscenza…” pronunciata dall’ Ulisse di Dante ai propri marinai, titubanti proprio nel momento di prendere la decisione di oltrepassarle, ha dato, a me, il senso dell’insegnamento paterno. La trasmissione dell’impulso alla ricerca della dignità della vita attraverso la sempre continua conoscenza di nuovi orizzonti culturali ed esistenziali. Un limite da oltrepassare perché questo è il destino dell’uomo. Trovare dignità e significato esistenziale nel continuo progredire. Costi quel che costi.
Ulisse era l’eroe desideroso di conoscenza, afflitto da una curiosità invincibile che lo spinse, come impulso irrefrenabile, ad oltrepassare anche i confini del mondo per dare così dignità a se e ai propri marinai, anche a costo della vita. Nell’inferno egli racconta a Dante di aver oltrepassato le colonne ma che poi una tempesta distrusse le navi.
Le Colonne d’Ercole quindi rappresentano il limite estremo della conoscenza umana che Ulisse, simbolo dell’uomo assetato di nuovo sapere, affronta, ben consapevole del rischio ma spinto dall’invincibile impulso del progredire.
Intimamente, in questa visione, esse possono ben simboleggiare l’ambivalenza umana tra il desiderio di nuove esperienze e la paura di esse. Il dubbio perenne che ci accompagna tra il desiderio di affrontare condizioni di vita sconosciuta abbandonando le certezze di quella attuale. Un limite posto dalla nostra mente per il continuo superamento di noi stessi. Ognuno di noi porta dentro di sè le proprie colonne d’Ercole. I propri limiti, i propri cancelli da oltrepassare verso l’ignoto. Chi le supera forse ne trarrà giovamento, forse no e forse ne troverà di nuove. Chi non se la sente seguiterà la propria navigazione nelle acque sicure anche se monotone del proprio, conosciuto, mar Mediterraneo, cioè nel rassicurante mondo dell’abitudine.