Canto ultimo della Fenice

 

Poche cose cancella il tempo

E tutto torna,

Rigogliosa inassorbenza,

a rifiorire di vuoto quell’eterno

che una vita stringe nell’attimo.

Le mie vite ormai soffrono

Della difficoltà del gratuito

E delle nuove, ripetute, stagioni

Che il Fato ha voluto dare e togliere.

Le mie notti chiedono

Sogni e speranze trepide

E desideri stabili

Da dedicare a instabili destini.

Vorrei tenaci sentimenti

E poter decidere di me,

Avere memoria di dolori e di paure,

Di colpe e di riscatti.

Vorrei farmi migliore per questo,

Donare anche ad altri

Gli aromi di incenso e mirto

Che raccolgo per la mia casa.

Vorrei cantare alfine ad Afrodite

E chiudere i suoi occhi nella mia vita.

Come il mare rinnova,

Richiudendola in se,

la sua schiuma.

    La Fenice è un uccello mitologico di straordinaria bellezza che non muore mai, anzi, che rinnova continuamente le proprie vite risorgendo dalle proprie ceneri. Un mito carico di simbolismi talmente profondi e penetranti che sembra essere presente, con variazioni locali,  nelle mitologie di quasi tutto il mondo. Un uccello favoloso, quindi, che risorge a nuova vita dopo aver terminato la vita precedente e che, per questo, si rinnova continuamente e ciclicamente.

    Il Mito ci dice che dopo aver vissuto per moltissimi anni (sembra 500 anni ma esistono varie versioni) la Fenice, al sopraggiungere del momento della  morte, si ritira in un luogo appartato e costruisce un nido su un alto albero. Per fare questo  utilizza, dopo averli accuratamente raccolti, rami e arbusti aromatici quali mirto, sandalo, incenso, legno di cedro, cannella, mirra e altre piante balsamiche. Alla fine vi si adagia, e, mentre intona un ultimo splendido canto, viene incendiato dai raggi del sole. Dal cumulo di cenere, dal quale si sprigionano aromi gradevolissimi, riemerge poi una nuova piccola larva che, a quanto narra Plinio, entro la fine del giorno, grazie al calore del sole, arriva alla completa maturazione della nuova Fenice.

    Ho immaginato, un po’ autobiograficamente, una Fenice stanca del continuo rinnovamento delle proprie vite e che nell’ultimo canto, prima di morire, esprime il desiderio di rivivere una vita più terrena, più passionale ma soprattutto meno segnata dal destino di dover reiniziare ogni volta da capo. Una nuova vita diversa con la quale godere di sentimenti e di emozioni passionali e non predeterminati dai propri cicli di vita.  Il desiderio di migliorarsi, di gestire le proprie scelte, di soffrire per la loro incertezza, l’Amore, il desiderio di condividere con altri le proprie cose migliori, la possibilità di offrire anche ad altri i propri ramoscelli di mirto e incenso, di ospitare nella propria casa. Questo vorrebbe la mia Fenice.

    La vita di ognuno di noi è scandita da periodi. Da cicli che hanno una fine ed un nuovo inizio. Per alcuni tali periodi spesso corrispondono a nuove vite. Al doversi “riciclare” per reinventarsi un nuovo futuro, nuove relazioni, nuovi amori, nuove prospettive, nuove attività… Forse ad un certo punto  spunta il desiderio di fermarsi a godere di ciò che si ha e che si vorrebbe avere. Il desiderio di poter sognare una vita basata sulla autodeterminazione e sull’Amore passionale e duraturo, simboleggiato da Afrodite, nata dalla schiuma del mare.

L’importanza di questo favoloso animale sia nella mitologia non solo Greca come nella tradizione, anche Cristiana, è tale che mi sento quasi in obbligo di… scusarmi per questa piccola licenza poetica.






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