Il Paradosso dell’Arciere

Dialogo sulla vita sul sogno e sul tiro con l’Arco tra Artemide e un cervo

 
La forza del Sogno. La leggerezza di un Volo… Ecco le virtù di un Dia-logo che corre - saldo e lieve - come una freccia uscita da quell’orlo di mondo che sta sospeso tra fantasia e verità, tra mistero e saggezza. 
E’ la storia di un incontro. Lei, la Dea della caccia, impetuosa, libera, indocile. Lui, il vecchio cervo, che l’aspetta; né umano né divino, è consapevole del suo destino. Preda e Predatrice: così vuole il normale dis/ordine delle cose. L’una contro l’altro, ma è armata solo lei. Lancerà la saetta? Ma allora la Vita a che vale? E perché la Morte? Il caso o la scelta? La volontà dell’io o il Fato che sta sopra persino a dio?
Interrogativi, suggestioni che il Paradosso dell’Arciere offre al lettore attingendo alla millenaria ricchezza della mitologia, all’inesauribile fonte della filosofia (nobile antenata della moderna psicologia) Ma è soprattutto un personale impulso, poetico e ideale, a muovere la mano, e il cuore, dell’Arciere Funari, che - con penna esperta – colpisce il bersaglio: la perenne umana ricerca di senso. E ci ricorda il Paradosso di questa nostra vita: bella, breve, mortale.

Piera Maculotti
Perché Artemide non uccide il cervo? Per caso, perchè non previsto dal destino, per entrambe le cose mescolate dall’alchimia della vita? La risposta non è scontata, ma non è nemmeno il punto cruciale della vicenda.  In questo libretto le argomentazioni fluiscono  in modo continuo, universale, intrigante, nascondono  pietre miliari dell’umana esistenza e richiedono per questo  una lettura  senza fretta: difficile,  in un’epoca disabituata ai piaceri della mente, che contempla solo il consumo immediato e non valuta il fine gusto della riflessione lontana dalla superficialità. 
Il bersaglio naturale, il cervo che non parla da cervo, sfugge alla morte, la freccia ondeggiante nella sua perplessità iniziale non parte dall’arco della spietata ma alla fine confusa dea della caccia. Centrare questo facile e  scontato obiettivo diventa, nel corso di un dialogo osmotico tra sogno e realtà, l’ultimo dei problemi, il vero scopo è vedere i possibili percorsi del rapporto cacciatore e preda,  analizzando  quali fattori stabiliscono  la traiettoria,  se prevale il caso, il destino, se la volontà dei protagonisti. Leggere – e soprattutto scrivere – questi dialoghi è un vero lusso, come sottolinea l’autore, che rende ‘emotivamente utile’ il poco tempo che dedichiamo alla riflessione, senza  traguardi di produttività,  ma con il solo desiderio di vagare nelle possibili pieghe della vita, incontrando inusitate sorprese e grandi spunti meditativi,   per chi si sofferma a coglierli. Nel dialogo tra la dea e l’animale è importante non fermarsi alla immagine statica che ci si presenta, anzi ignorarla per cogliere il divenire del rapporto,  quello che c’è di più profondo dietro il quadretto mitologico.  E’ forse questo  il segreto per allenare la mente ai voli vertiginosi che può compiere dando grande piacere, senza il bisogno di ricorrere a droghe sintetiche. Ma è un lusso per pochi, come già Bertrand Russell sottolineava negli anni 30 nell’ ‘Elogio dell’Ozio’. “Forse il vantaggio più importante del ‘sapere inutile’ è che induce a un abito contemplativo della mente’. E nell’era dell’immagine, della rappresentazione per quello che è il suo mostrarsi più immediato, senza alcuna ricerca, l’abitudine  a trovare piacere nel pensiero piuttosto che nell’azione, specialmente quella degli altri, è “una salvaguardia contro la leggerezza e l’eccessivo amore del potere, un mezzo per conservare la serenità nella sventura e la pace nella mente tra i crucci”.
L’interpretazione dei passi del dialogo  consente al lettore di  costruire una propria una ‘filosofia biologica’ che permette di attribuire frasi e comportamenti, mutamenti d’umore e di prospettiva al caso o al destino, in un’armonia altalenante da canzone portoghese. Sia per motivi dettati dalla casualità che dal fato ineluttabile si va comunque verso la fine,  ed è questo che non sfugge al saggio cervo , che  colora di malinconia i suoi discorsi perché sa che comunque finirà presto i suoi giorni, che non potrà per sempre  sfuggire alle frecce. “Il paradosso dell’arciere” è un esercizio per la mente, che,  se  esercitata in letture non consuete, diventa più forte e meno incline a credere nelle banalità.  

Sabrina Smerrieri

BRESCIA OGGI -

Giovedì 01 Aprile 2010 - CULTURA, LIBRI.

L’ultima opera di Augusto Funari


Il paradosso del dialogo
tra Artemide e un cervo


La vita. Il sogno. L'uomo con le sue perenni, radicali domande nel «Dialogo tra Artemide e un Cervo» (sottotitolo del poetico testo: «Il paradosso dell'Arciere»), edito da Arnaldo da Brescia (pp. 91, euro 12).

L'autore - il medico e poeta bresciano Augusto Funari appassionato ed esperto di tiro con l'arco - lancia la freccia della sua fantasia onirico-mitologica per cogliere nel segno le verità di sempre: la paura della morte e del dolore, l'ansia di vita, l'intreccio tra Caso e Necessità...

UNA FAVOLA bella, densa e lieve, ispirata a quel gesto elementare, millenario che è il tendere un arco e dirigere la saetta. Arte nobile e difficile «nota agli uomini e agli dei», anche se le umane frecce, imprecise, imperfette, «possono fallire. La perfezione appartiene solo a noi Dei» dice Artemide, l'impetuosa dea della caccia; sprezzante con il vecchio cervo: tu che ne sai, che sei solo un animale?

Preda e Predatrice sono uno di fronte all'altra, in un impari incontro. Lei, l'immortale cacciatrice deve uccidere: «è scritto». Lui conosce il suo destino; al fatale momento è preparato (anche se non «non pronto»): fuggire è inutile e morire è solo un attimo. Eppure... Eppure l'incontro-scontro si fa Dialogo. E filosofico volo: se la Morte è la meta, la Vita a che vale? Amare, scegliere, sognare? L'io, il Fato, dio...

Quesiti e suggestioni che - tra mistero e saggezza - animano il Paradosso del Dialogo. E muovono la penna sapiente dell'Arciere funari che - con immagini vive e parole efficaci - sa tendere le corde emotive del lettore... Per ricordargli il Paradosso del nostro vivere: breve, intenso, mortale.

Brescia Oggi

Venerdì 01 Ottobre 2010

Alla comunità di S.Patrignano l'incasso della serata e della vendita del libro «Il paradosso dell'arciere»

Un omaggio. Uno spettacolo. Un'occasione per fare beneficienza. Sono molteplici le sfaccettature che sottendono a un evento speciale che prenderà forma venerdì prossimo, 8 ottobre, alle 21, al San Barnaba di corso Magenta. Con una «Serata per un grande uomo», Brescia ricorda Vincenzo muccioli, e chiama la musica e la prosa.

Promossa dal circolo culturale «Il Caminetto» e dall'associazione Arnaldo da Brescia, l'iniziativa gode del patrocinio di Loggia, Broletto e Fondazione Asm: l'incasso sarà interamente devoltuo alla comunità di San Patrignano. . In scena quindi, scorci tratti da «Il Paradosso dell'Arciere», tributo alla capacità di inseguire mete e sogni, e al riscatto umano. Pagine in cui l'autore, originario dell'Abruzzo, scocca la freccia di una fantasia mitologica per affondarla nei grandi quesiti dell'uomo: la paura della morte, l'ansia della vita e l'incontro tra caso e bisognoAlla comunità di S.Patrignano l'incasso della serata e della vendita del libro «Il paradosso dell'arciere»

Io la ringrazio per ciò che ha fatto per noi. Ho letto il suo libro e ne sono rimasto ammirato, soprattutto quando dice che ognuno è artefice dei propri sogni. Grazie di cuore

Andrea Muccioli, Comunità di San Patrignano



Ho letto il tuo secondo libro " Il paradosso dell'arciere" e sono rimasta stupita dalla tua capacità di trascinare il lettore lungo il percorso che dall'ineluttabile porta al libero arbitrio. La divinità, il fato, il "già scritto"... tutto si snoda, sfilaccia, dissolve nel gioco delle parole lanciate come dardi e poi fermate. sospese. La dea ( interessante la scelta di un dio donna e una delle più spietate e colte) umanizza il suo gesto , è colta dal dubbio ( ah, quell'Amleto che verrà secoli dopo...) e si ferma. Rende paradossalmente possibile ciò che poco prima era impossibile. Beh, una bella lezione "laica" che viene da lontano. Trionfa la natura, pare, in questo tuo scritto. Il divino e l'umano in verità sono solo parole... belle, ma così volatili. L'anemos resta in bilico ( mi piace pensarlo), sorretto solo da una natura che è meravigliosamente , fantasticamente indifferente.
A.B.Gigliotti - Brescia